Mangiarsi le unghie è un gesto molto diffuso, un’abitudine che la persona mette in atto in modo inconsapevole e smettere di farlo, spesso, rappresenta una sfida impossibile per l’individuo.
Sicuramente antiestetico e non igienico, eppure mangiarsi le unghie è un’abitudine molto diffusa (il 45% tra gli adolescenti e il 29% tra la popolazione adulta).
Ma che cosa ci spinge a mangiarci le unghie? Ansia? Nervosismo? Noia? Fame? Insicurezza?
Secondo la teoria freudiana è un sintomo riconducibile alla fase della fissazione orale.
La fase orale è la prima tappa dello sviluppo psicosessuale che si concentra sulla bocca.
È un fatto noto che i bambini cerchino di mettere tutto in bocca, che è l’organo conoscitivo per eccellenza.
La bocca, infatti, è l’organo con il quale il bambino entra in contatto con la madre attraverso il suo seno e l’organo con cui si nutre e fa esperienza delle cose e del mondo esterno.
Le fissazioni relative a questa fase sono dette fissazioni orali e derivano dalla lunghezza eccessiva o eccessivamente corta di questo periodo, così come dalla sperimentazione di un eventuale trauma o ripetuta frustrazione durante lo svezzamento.
La personalità orale rappresenta così una fissazione a questo stadio e ne conserva dei tratti di personalità. Tutte le fissazioni orali hanno un elemento in comune: l’eccessiva inclinazione per comportamenti che coinvolgono tutto il cavo orale (mangiare, fumare, bere, rosicchiare, etc).
Il rosicchiare nello specifico trasduce un’espressione di aggressività che si coniuga, nel caso dell’onicofagia, al gesto di portare qualcosa alla bocca nei momenti di agitazione, ansia o rabbia.
In queste situazioni riportare le emozioni sul corpo è una strategia per gestire i momenti di frustrazione.
Quando si è piccoli tramite la suzione si ottiene conforto e consolazione ma, una volta divenuti adulti, la suzione non è più sufficiente e allora il rosicchiare e il provare anche dolore per le eventuali escoriazioni, è utile (ma non funzionale) a riportare qualcosa di ingestibile (poiché incontrollabile e non tangibile, come le emozioni) a un livello più noto (quello fisico e tangibile del corpo) e così, apparentemente più controllabile.
Rifiutandosi, consciamente o inconsciamente, di affrontare e vivere la propria aggressività, in questo caso l’individuo sposta la propria rabbia o frustrazione verso sé stesso.
Mangiarsi le unghie è, quindi, un modo per tenere a bada i propri impulsi aggressivi nascondendo così una parte importante della propria personalità.
Ma secondo una ricerca dell’Università di Montreal, in Canada, mangiarsi le unghia non è soltanto una “brutta abitudine”! I risultati della ricerca riportano che all’origine di questo comportamento quasi compulsivo e non proprio piacevole, c’è il perfezionismo, ovvero l’ansia e il desiderio di fare sempre le cose nel modo migliore e di raggiungere gli obiettivi più alti.
In altre parole, spiegano gli studiosi autori della ricerca “chi si mangia le unghie, ma anche chi si attorciglia continuamente i capelli attorno alle dita, spesso è una persona che soffre di irrequietezza e perfezione, che non riesce a rilassarsi né a compiere le attività quotidiane a un passo normale, ma va sempre oltre…”.
Il rovescio della medaglia nasconde il suo effetto meno positivo: i perfezionisti, infatti, sono facili all’ impazienza, all’insoddisfazione e anche alla frustrazione quando non raggiungono i propri obiettivi o quando si scontrano con le tempistiche realistiche della vita quotidiana che impediscono loro di raggiungere i propri obiettivi in maniera tempestiva.
“Ciò che fa scattare questa abitudine è soprattutto la frustrazione, ma anche l’impazienza, e questi gesti rappresentano il modo (non funzionale) di regolare le proprie emozioni, ovvero fungono da sostituti di una azione più costruttiva” – ha spiegato Kieron O’Connor, il direttore della ricerca, all’Huffington Post americano.
Infine, per arginare e curare il problema, bisogna capire a fondo quali siano i motivi di tale ansia ed aggressività che ne stanno alla base e perché il soggetto prediliga lo sfogo verso sé stesso e non verso l’esterno.
Dr.ssa Angela Pellegrino